22.6.07

Il debutto di un dream team

Ieri ha aperto i battenti BIR & FUD, nel cuore di Trastevere, dove via Benedetta si innesta in piazza della Malva, nel posto in cui c'era una volta "Il marchese del grillo".

E' un progetto, nato non dalle penne ma dai boccali, di Leonardo di Vincenzo (il creatore della Birra del Borgo) e di Manuele Colonna (patron del "che siete venuti a fa'", sempre in via Benedetta).

Sono giovani, sono bravi, sono appasionati e osano: riusciranno.


Manuele Colonna e Leonardo di Vincenzo

Parliamo di BIR.

"Mai sotto i 10 °C", è la temperatura giusta per servire la birra, l'aumento -modesto- della tensione di vapore esalta le percezioni sensoriali; i boccali sono TeKu, appositamente disegnati (TEo e KUaska) per la degustazione birresca.

Le birre, per ora solo alla spina (ma ce ne sono 10 diverse), sono esclusivamente di birrifici artigianali italiani e precisamente la Birra del Borgo (del padrone di casa) prodotta a Borgorose (RI), quelle del Birrificio Troll di Vernante (CN) e poi Le Baladin di Piozzo (CN) e infine quelle del Birrificio Italiano di Lurago Marinone (CO).

Per le bottiglie prevedono di avere (fra un po', chè non sono ancora arrivate) 130 etichette, di cui 50 italiane e il resto straniere.

Sognano di cambiare il nome a via Benedetta facendola diventare via del Luppolo, hanno buone chance.

Parliamo di FUD.

Il menù (e l'indottrinamento della brigata) è opera di Gabriele Bonci, e si vede e si sente.

C'è tutta la sua filosofia: qualità top delle materie prime e poi semplicità, tradizione e fantasia... per esempio la carta delle panzanelle (ogni giorno un pane diverso, ca va sans dir).

pane per bruschette

C'è la "panzanella nuda e cruda", quella con "baccalà marinato e qualche zucchina alla scapece", la "panzanella con il centopelli (fogliolo), fagioli da scafo e pesto di mentuccia", quella "mozzarella caramellata al pepe ed erbe selvatiche, alici del cantabrico e una nocciola".
E le bruschette (8 diverse) di cui non posso non citare quella che ho assaggiato "uova strapazzate con zucchine e luppolo Simcoe, pomodori confit e pancetta di Cormons" oppure i "crostini ai colossi romani (trippa, coda e coratella)".

bruschetta uova strapazzate con zucchine e luppolo Simcoe, pomodori confit e pancetta di Cormons

panzanella con il centopelli, fagioli da scafo e pesto di mentuccia

Poi (in realtà prima) c'è la carta delle mozzarelle, e quella -per me ormai classica- dei fritti (qui segnalo solo il "supplì con salsiccia di Mora Romagnola e KeToReporter").
Naturalmente ci sono le pizze, e ci mancherebbe...
Ma di queste non parlo: non le ho assaggiate; ahimè -e ahivoi- mi toccherà tornare per raccontarvi qualcosa.
Infine, e qui potrei scriverci un intero post, ci sono i dolci, nel bene e nel male i "miei" piatti. Ho iniziato con "gita in campagna - passaggio al cucchiaio dal pane burro e marmellata al cacio con le pere", un delizioso divertissement molto azzeccato che va mangiato mentre si annusa un fiore di lavanda, e avrei voluto concludere con una prova del nove: la "crema bruciata".

gita in campagna

Prova del nove perchè la fanno tutti (di solito male) ed è -nella degustazione non nella realizzazione- elementare, mi verrebbe da dire monocroma, non c'è da andar raccogliendo gusti diversi... è tutta lì, tutta uguale, uno, due, tre cucchiai per gustarla per benino, per dire "sì", "no" oppure "ni", promosso, bocciato o rimandato.

Dicevo che avrei voluto concludere con una crema bruciata, non ho potuto: dopo averla assaggiata ho fatto chiamare il pasticciere, gli ho fatto i miei più vivi complimenti e ne ho preso un'altra.

Un bel bicchiere di creme brule che poggiava (la crema non il bicchiere) su uno spesso strato di sable francese: superlativa.

Andrea de Bellis, pasticcere

Poi, amitie oblige, ho assaggiato un'invenzione odierna (che dovrebbe essere "piccola pasticceria"): "crema di nocciola, mozzarella di bufala e lamponi con olio extravergine alla mentuccia e pepe rosa".

Sono entusiasta, credo si legga.

Menzione speciale per Andrea de Bellis, giovane pasticcere che "studia, studia, studia come un matto" (ex cristalli di zucchero) e che non sfigura per nulla in una squadra di grandi.

Il rapporto qualità prezzo è al limite dell'imbarazzante: potete sedervi a Trastevere, mangiare quelle cose che vi ho elencato, bere una birra fatta di luppolo e cuore e spendere meno di 25 €.

8.6.07

Il mercato del gluten free

Letizia Saturni è celiaca, è specialista in scienze dell’alimentazione e giornalista.

Credo che pochi in Italia abbiano migliori carte per scrivere un blog gluten free, infatti ritengo il suo blog (e lei stessa) inappuntabile.

Preciso, corretto, equilibrato; l’unica critica che potrei farle (se proprio dovessi) è che parla un po’ troppo piano (come volume): io sono uno che urla, lei sussurra.

Naturalmente sono due modi assolutamente legittimi di esprimersi (il suo più del mio), ma credo che si parli così poco di celiachia che, ciò che viene detto, debba esserlo con voce forte e chiara.

Detto ciò, prendo spunto dal (e faccio riferimento al) suo ultimo post per aggiungere qualche considerazione “da questo lato del bancone” che può aiutare a una migliore comprensione del mercato del senza glutine.

Perché le aziende sono reticenti?
Per lo stesso motivo per cui un allenatore non racconta le proprie strategie né, fino all’ultimo, dichiara la formazione.
Si cerca di non dare ai concorrenti informazioni sulle quali fare “intelligence”.
Questo nei migliori dei casi, in altri (private label, vedi sotto) semplicemente non si hanno informazioni da dare oltre a quelle meramente commerciali (“pago le merendine 1,00 € e le vendo a 1, 27”).

I bisogni del celiaco sono informazione, dieta variata ed equilibrata e locali informati.

Letizia Saturni afferma che un ruolo importante nell’informazione è svolto dai produttori attraverso l’etichettatura dei prodotti.
Davvero?
E’, o dovrebbe essere, l’etichetta lo strumento di informazione e non –come succede in altri paesi- le riunioni periodiche delle associazioni di celiaci, con (e per) medici, pazienti e produttori?
Non le pubblicazioni, non gli spazi di discussione, non le trasmissioni radio o tv, non i siti *veramente* informativi?

L’etichettatura è, sostanzialmente, determinata dalla norma: dati gli ingredienti, la legge dice che cosa e come la devo scrivere, mi lascia un po’ di spazio nella grafica e la possibilità di tradurre i dati in più lingue. Punto.
La quantità di informazione che così posso trasmettere ha un massimo teorico, ed è un massimo piuttosto piccolo, per converso tutte le altre forme di formazione/informazione (riunioni, trasmissioni, fora, ecc.) che per quanto riguarda l’Italia chiamare carenti è un blando eufemismo, non vengono esaminati nell’elenco dei bisogni [insoddisfatti].

Dieta variata ed equilibrata.

Non una parola sulla qualità bromatologica né su quella sensoriale: basta che ci siano tanti biscotti e che non grondino colesterolo; il fatto che siano fatti con materie prime di qualità, che siano “buoni” al palato, che siano sensorialmente equilibrati, che si possa parlare di cultura dell’alimentazione piuttosto che di quantità di nutrimento sembra irrilevante.
Probabilmente lo è, io credo che oggi la cultura gastronomica gf sia a livello di “quel che non strozza ingrassa”.
Non è poco, fino a qualche anno fa erano davvero pochi i prodotti che “ingrassavano”… e oggi?

1390 prodotti nel Registro Nazionale e 6200 nel prontuario, e c’è ancora chi sostiene che sono pochi: io, per esempio.

Questi 1390 prodotti notificati non sono 1390 prodotti diversi ma molti di meno, spesso lo stesso prodotto (stesso produttore e formato) viene venduto con diversi marchi, i cosiddetti “private label”, un esempio sono vari biscotti, fatte in Italia da poche aziende che si trovano in commercio con una pletora di etichette diverse (e quindi con molte ricorrenze nel Registro).

I 6200 del prontuario meriterebbero un discorso a sé, in parte hanno la stessa caratteristica di “non originalità” di quelli notificati e, inoltre, non sono in alcun modo “garantiti” se non da una specie di autocertificazione del produttore: per alcuni di questi prodotti NON esistono nemmeno le analisi che confermino l’assenza di glutine.

Quindi, non solo sono pochi ma sono pure a rischio.

Dove acquistarli?
Dove si può.

Spendendo i buoni delle regioni in farmacia, il posto peggiore per comprare cibo, sia dal punto di vista del trasporto che dal punto di vista dell’esposizione che da quello psicologico.
Non mi stanco di ripetere che la celiachia è una “condizione” e che se si segue una dieta rigidamente gf non è una malattia, però capisco che sia un’affermazione che fa un po’ a cazzotti con il pane in farmacia.

Dove altro si può?
Spendendo i buoni anche in qualche coop e in qualche franchising ma in poche regioni, è bene tutto questo?
Perché c’è un così basso utilizzo delle possibilità che offre la norma?
Chi dovrebbe fare pressione per combattere contro i privilegi acquisiti di una categoria commerciale a favore degli interessi dei celiaci?

Spendendo i propri soldini si possono comprare nei negozi di alimenti bio o dietetici, oppure in qualche supermercato, oppure ancora da qualcuno dei pochissimi artigiani che fanno GF.
Perché così pochi artigiani?
Cosa fa l’associazione per promuovere iniziative nel campo?
E’ nell’interesse dei celiaci avere più produttori diversificati?
E questo è nell’interesse dell’associazione?

Sì, anch’io pongo più domande che risposte, ma le mie sono retoriche.

I locali informati sono una realtà complessa alla quale ho intenzione di dedicare tempo e articoli.
Sono piuttosto critico sulla situazione della ristorazione GF, ne parlerò in futuro.